Sempre meno stelle arricchiscono i nostri cieli. Il principale nemico dell’astronomia è l’inquinamento luminoso
Nel corso degli ultimi decenni l’inquinamento luminoso è diventata una vera e propria “piaga” che si è sparsa a macchia d’olio su tutto il globo terrestre, andando a influire negativamente sugli ecosistemi notturni e sull’astronomia. Le zone più afflitte da questa problematica sono ovviamente quelle con un’alta densità di popolazione.
L’Europa, l’East Coast degli USA e alcune zone di Cina, India e Giappone non se la passano benissimo. All’interno di queste regioni è praticamente impossibile trovare siti bui, anche per migliaia di km. Le grandi città sono i principali colpevoli, poiché illuminano a lunga distanza i paesaggi che le circondano, andando quindi a contaminare campagne, coste e montagne.
Ma come agisce esattamente l’inquinamento luminoso? Tutti sanno che la causa sono le luci artificiali prodotte dagli impianti di illuminazione pubblica, sparsi tra le strade e aziende varie; eppure la faccenda è un po’ più complicata di così. Anche l’atmosfera e l’orientamento di queste luci vanno a influire sulla quantità totale di chiarore artificiale. L’aria che ci sovrasta infatti può fungere da specchio. La causa risiede nel fatto che al suo interno non sono presenti soltanto i gas che respiriamo, ma anche polvere, sabbia, acqua, ghiaccio e in genere particolati che sono molto bravi a riflettere la luce.
È facile quindi immaginare che se punto un faro verso l’alto la colonna d’aria sopra di me “si illuminerà”, poiché parte di quella luce rimbalzerà indietro, diffusa da queste particelle, conferendo alla porzione di cielo rivolta verso quella direzione una luminosità non reale. Come conseguenza, questo bagliore sintetico apparente soffocherà la debole luce di molti oggetti astronomici (in quanto in genere meno luminosi dell’IL), facendoli quindi scomparire dalla vista, proprio come quando di giorno la luce del Sole sovrasta quella di tutte le altre stelle.
Se invece i fari fossero puntati verso il basso, basterà spostarsi pochi metri al di sopra di questi per notare come la qualità del cielo notturno migliora sensibilmente, perciò molti astrofili ad oggi preferiscono spostarsi in montagna per le loro sessioni osservative o fotografiche. Certo, la luce artificiale riflessa dall’asfalto e dagli oggetti sul terreno farà sentire comunque i suoi effetti, ma fortemente ridotti se paragonati a migliaia di luci rivolte verso l’alto o anche orizzontalmente. È per questo che molte associazioni stanno spingendo affinché lo Stato legalizzi l’esclusiva produzione di lampioni che siano in grado di illuminare il terreno senza influire sugli strati di aria sovrastanti, come visibile nella foto precedente. Dopotutto, pensandoci, l’uomo non è ancora stato in grado di sviluppare le ali, e ognuno di noi vive con i piedi ancorati a terra. A che serve quindi illuminare verso il cielo?
La scala di Bortle
Per calcolare numericamente l’inquinamento luminoso di una zona esistono alcuni parametri e strumenti sviluppati negli ultimi anni con lo scopo di monitorare la situazione. Un esempio è la scala di Bortle. Si tratta di una scala costituita da nove livelli disposti in ordine decrescente che misura la luminosità del cielo. Più il numero è alto, peggiore sarà la situazione.
I cieli Bortle 9/8 sono quelli tipici delle grandi città. Soltanto la Luna, i pianeti e le stelle più luminose saranno visibili da questi centri. Spostandoci verso la parte destra della scala troviamo condizioni più accettabili come la classe Bortle 5/4. Si tratta dei cieli rurali, tipici delle campagne poste a qualche decina di km dalle città, nonché i più bui che è possibile trovare ad oggi in Italia e in generale in Europa. In queste zone la Via Lattea inizia a essere percepibile, seppur difficilmente, come un chiarore lattiginoso sfocato, mentre le luci urbane sono visibili in lontananza, verso l’orizzonte.
Ma è sotto i cieli Bortle 2/1 che avviene la vera magia. Qui si è talmente lontani dalla luce artificiale che ci si immerge in un buio primitivo, ormai raro, come quello che vedevano i nostri antenati. La Via Lattea brilla incontrastata dominando la volta celeste. La sua luminosità è talmente forte che è possibile percepire ad occhio nudo tutte le conformazioni di nebulose oscure che la caratterizzano. Per di più solo sotto questi cieli diviene visibile un fenomeno esotico: la luce zodiacale, ovvero il bagliore del Sole riflesso debolmente dalle particelle di ghiaccio e polvere permeanti lo spazio interplanetario nel sistema solare. Tali livelli di buio possono trovarsi solo in corrispondenza di deserti, oceani, foreste o comunque zone estremamente poco popolate.
Sky quality meter
Un altro parametro usato da astronomi e astrofili per misurare l’IL è l’SQM (Sky Quality Meter). Questo criterio valuta la luminosità distribuita in una porzione di cielo completamente priva di stelle usando come unità di misura le (magnitudini su arcosecondo quadro). La magnitudine è un valore usato in astronomia per caratterizzare la brillantezza di un oggetto: più questo sarà luminoso più la sua magnitudine sarà bassa. L’arcosecondo invece è un’unità di misura usata per calcolare angolarmente l’estensione di un oggetto in cielo (dividendo il cielo in 360° un arcsec rappresenta 1/3600 di grado).
Un SQM di 20.7 per esempio indica quindi che ogni arcsec quadrato del cielo visto da una determinata località brillerà di una debolissima magnitudine pari a +20.7 (la magnitudine limite che l’occhio nudo è in grado di percepire è +6). Più la luminosità artificiale sarà intensa, più i valori di SQM saranno bassi. Nelle grandi città si può scendere anche al di sotto delle 17, nei cieli delle nostre campagne invece ci si aggira intorno a 21. Il valore massimo che l’SQM è in grado di assumere è 22. Questo numero rappresenta le condizioni migliori ottenibili sulla Terra, sotto cieli di classe Bortle 1. Anche se apparentemente può sembrare che tra i 21 delle nostre parti e i 22 dei deserti ci sia poca differenza, va ricordato che la magnitudine astronomica (e quindi l’SQM di conseguenza) segue una scala logaritmica e non lineare. Questo significa che un cielo con un SQM di 22 sarà in realtà 2,5 volte più buio di uno con un SQM pari a 21.
Inoltre è bene specificare che mentre lo Sky Quality Meter possiede un valore limite di +22, le magnitudini al contrario non possiedono “confini”. Possono esistere infatti oggetti con magnitudini estremamente basse (estremamente luminosi) come il Sole con -26.7, o al contrario oggetti estremamente deboli con magnitudini altissime (il telescopio spaziale Hubble per esempio è in grado di osservare stelle fino alla mag. +30). Ma allora com’è possibile che anche nei siti più bui al mondo il cielo possiede comunque una leggera luminosità? E’ colpa dell’airglow, un fenomeno che non rende mai il cielo notturno perfettamente buio, generato dalla fotoionizzazione delle molecole dell’atmosfera da parte della radiazione solare.
Conclusioni
L’inquinamento luminoso è un fenomeno che peggiora di anno in anno. L’avvento dell’illuminazione a LED nell’ultimo periodo non ha fatto altro che peggiorare le cose, e alle autorità sembra che questo tema non importi particolarmente, visto che la sensibilizzazione a riguardo è bassissima. La nostra generazione è la prima a non aver mai visto la Via Lattea da quando l’homo sapiens popolò la Terra, circa 250.000 anni fa, e di questo passo i nostri figli non avranno la più pallida idea di cosa sia un cielo stellato. In Europa l’astronomia è diventata una sorta di taboo, e i grandi osservatori si trovano tutti ormai nell’emisfero australe, tra i deserti Cileni. Ad oggi gli astrofili sono costretti a percorrere decine o centinaia di km per accontentarsi nel migliore dei casi di cieli mediocri, e in aggiunta gli sprechi energetici e gli ecosistemi notturni compromessi contribuiscono a rendere questa problematica qualcosa di veramente serio. Perché nessuno ne parla? Nel nostro piccolo, cerchiamo di sensibilizzare chi di dovere a combattere questo tema. Tantissime luci lì fuori sono letteralmente inutili o di troppo. Spegniamole.